sabato 16 novembre 2013

MAX 20

Nel corso degli ultimi 20 anni ho visto molti, moltissimi concerti.

Bruce Springsteen, Bob Dylan, Tom Petty, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Ligabue, Vasco, Modena City Ramblers, Marah, Lowlands, Miami & The Groovers e tanti tanti altri.

Bè, domenica scorsa sono andato a vedere Max Pezzali, a Torino.

E mi sono divertito.

Perchè se è vero che negli ultimi anni - diciamo da quando ha un po' abbandonato il "marchio" 883 per diventare "Max Pezzali", l'ho seguito meno, ascoltando di fatto solo i brani che passavano in radio, dall'altra parte è verissimo che nei miei primi anni di liceo l'album d'esordio e quello successivo, "Hanno Ucciso L'Uomo Ragno" e "Nord Sud Ovest Est" andavano in loop, con tanto di video passati da VideoMusic o quello che era.

E sfido qualsiasi trentenne a negare di conoscere a memoria quasi tutte le canzoni degli 883 degli anni '90. Qualcuno se ne vergognerà, ovvio, ma sono affari suoi.

Venendo nello specifico al concerto, il signor Pezzali, anni 46, non è un grandissimo intrattenitore, ancora timido quando interagisce con il pubblico o introduce una canzone, ma mette in piedi due ore e venti di spettacolo durante il quale il pubblico (tantissimi giovani, sotto i vent'anni) applaude, balla, salta e soprattutto canta ogni pezzo, senza stancarsi mai.

L'inizio è affidato, con tanto di parole stile karaoke sui megaschermi, a un paio di pezzi nuovi, che riescono a dare un discreto ritmo alla partenza, per poi far decollare davvero lo show con Rotta Per Casa Di Dio e Gli Anni, da lì in poi sarà tutta discesa.

Il momento migliore arriva verso la fine (ma qualche cambio in scaletta ci sarebbe stato bene), quando dopo una bellissima Con Un Deca Max decide di proporre in acustico - prima piano e poi chitarra - una carrellata di brani: Nient’altro che noi, Ti sento vivere, Io ci sarò, Eccoti, lasciando ampio spazio sulle strofe al solo pubblico, che naturalmente non perde un colpo.

Arriva poi sul palco un ospite, Nikki, chitarra e voce su L'Ultimo Bicchiere (brano scritto proprio per lui da Pezzali, nell'ormai lontano 1994), prima del gran finale con Una Canzone d'Amore del bis finale Sempre Noi.

Il palazzetto è ancora pieno, chi non si è divertito peste lo colga.

Scaletta:
Ragazzo inadeguato
I cowboy non mollano
L’universo tranne noi
Lo strano percorso
Rotta x casa di Dio
Gli anni
Quello che capita
Come mai
Il mio secondo tempo
Sei un mito
Sei fantastica
Hanno ucciso l’Uomo Ragno
Come deve andare
Nessun rimpianto
La dura legge del gol
Il presidente di tutto il mondo
La regola dell’amico
Nord Sud Ovest Est
Il mondo insieme a te
Con un deca
La regina delle celebrità
Tieni il tempo

Nient’altro che noi 
Ti sento vivere
Io ci sarò
Eccoti
L'Ultimo Bicchiere (con Nikki)
Una canzone d’amore
 
Sempre noi

sabato 9 novembre 2013

Perle ai porci

Martedì scorso era a Milano Andre Agassi.

Uno sportivo che ha scritto pagine importanti della storia del tennis, oltre ad essere stato un grandissimo personaggio mediatico, nel bene e nel male, dalla fine degli anni '80 alla metà degli anni 2000.

E oltre a essere, neanche a dirlo, il mio sportivo preferito.

Agassi era a Milano inseguendo la tabella di marcia imposta dalla Longines, suo partner da qualche anno, in un tour de force che in Italia gli ha lasciato pochissimo tempo libero, subito impegnato in un paio di interviste.

Peccato che quelle due interviste - entrambe registrate e poi proposte in momenti diversi -  fossero da Fazio e a DeeJay Chiama Italia.

Con il più terribile dei presentimenti, ho registrato i 20 minuti di intervista orrendamente orchestrata da Linus e Nicola Savino, intervista in cui, ancora una volta (l'elenco dei personaggi famosi passati per una marchettata o per un dialogo vero negli studi di via Massena è infinito e spesso interessante) i due Gianni e Pinotto hanno saputo dimostrare la banalità assoluta dei loro interventi, oltre a - non parlo di Linus - una stupida ignoranza che non appartiene nemmeno più all'uomo della strada.

Questi due intrattenitori della mattinata si sono trovati davanti a un uomo di quarant'anni che non sarà mai considerato il più grande tennista di tutti i tempi, ma che ha vinto tutti i tornei possibili, i quattro del Grande Slam, le Olimpiadi, che ha sposato Brooke Shields prima e Steffi Graf poi, che ha scritto un libro autobiografico che continua a vendere milioni di copie, che sta lanciando una linea di attrezzi per fitness e palestra (BILT, insieme al suo preparatore storico Gil Reyes) e che soprattutto porta avanti con grande determinazione una sua fondazione per garantire un buon livello di istruzione a chi non se la può permettere, a Las Vegas prima e in tutti gli USA poi.
Insomma, uno che potrebbe raccontare un sacco di cose interessanti.

Per un minimo di pudore, riporto solo alcune - e non le peggiori - delle domande che Linus gli ha rivolto.

- ti piace il tennis?
- cosa avresti fatto se non il tennista?
- quanti figli hai?
- quanto è grande Las Vegas?
- qual è il tuo tennista preferito oggi?

Lasciando l'ultima domanda, un anfratto da venti secondi scarsi, proprio alla fondazione, senza poter neanche argomentare un minimo, senza che si potesse spiegare nulla.
Il tutto intervallato dalla beota idiozia di Nicola Savino, il personaggio più inutile e sopravvalutato, che nella sua immane deficienza è riuscito a chiedergli:

- cosa dici a un genitore che vede suo figlio impegnarsi in uno sport?
- come te la cavi a baseball? la becchi la palla?

Al di là di un minimo di rispetto che avrebbero comunque dovuto avere, Agassi è uno che si è trovato di fronte a David Letterman, giusto per capire il livello di interviste.
Per quanto sia stato molto gentile nelle risposte, spesso cercando di renderle molto più interessanti delle domande, non oso immaginare cosa possa aver pensato, trovandosi di fronte a questi due piccoli operai del basso intrattenimento italico (quella stessa Italia che legge Fabio Volo e ride con Checco Zalone, ovviamente).
Inutile dire che non guarderò il programma di Fazio.

Perle ai porci.

Guardatevi Letterman, e imparate.

martedì 5 novembre 2013

Dylan

Domenica sera sono andato a vedere Bob Dylan al Teatro degli Arcimboldi, a Milano.

Qualche ora prima, distrattamente, avevo letto feroci critiche negative su giornali e internet: gente che dichiarava di essersene andata a metà spettacolo, persone deluse, insulti e via dicendo.

Ora, premettendo che sono abbastanza sicuro che quelle stesse persone agli Arcimboldi non hanno mai messo piede, e che quindi scrivevano solo perchè non avevano di meglio da fare la domenica mattina.
E premettendo anche che buona parte delle recensioni live dei maggiori quotidiani nazionali è tremenda, pressapochistica, di parte e ignorante.

Se vai a vedere Dylan devi sapere a cosa stai andando incontro.

Se ti aspetti una carrellata di greatest hits, con gli arrangiamenti originati, una sfilza di Highway 61, Masters Of War, The Times They Are A-Changin' e via dicendo, con Dylan a sferzare la sua Stratocaster dall'inizio alla fine, bè, hai sbagliato tutto.

Se vai a vedere Dylan devi aspettarti una scaletta standard, con cambiamenti minimi (una canzone?) da una sera all'altra, ma è anche vero che, complice il costo del biglietto, sarà difficile seguire tutto un tour.
Se vai a vedere Dylan non devi aspettarti nessuna interazione con il pubblico.
Se vai a vedere Dylan non ti basta neanche sfogliare tutto il suo canzoniere, perchè spesso ripesca pezzi dimenticati e polverosi.
Se vai a vedere Dylan e vuoi riconoscere le canzoni devi stare attentissimo al testo, perchè gli arrangiamenti sono diversi, strani, imprevedibili.
Se vai a vedere Dylan devi prepararti - almeno nei teatri - ad avere intorno parte dell'intellighentia cittadina, che il più delle volte è lì solo per criticarlo, prima di aver sentito una singola nota.
Se vai a vedere Dylan devi aspettarti che le file al bagno siano piuttosto lunghe, e sì, anche quelle degli ometti, che la prostata è sempre in agguato.
Se vai a vedere Dylan devi sperare di non accendere un mutuo. Per un solo concerto.
Se vai a vedere Dylan - sempre in teatro - vedrai maschere non troppo competenti rimproverare i pochi facinorosi che lasciano la loro poltrona e tentano un assalto alle transenne.
Se vai a vedere Dylan vedrai che le transenne hanno lo scopo di tenere lontano il pubblico dal palco.

Se vai a vedere Dylan devi mettere in conto che potresti anche uscirne deluso.

Detto questo, il concerto di domenica sera è stato un signor concerto.
Un solo cambio rispetto alla serata precedente (Visions Of Johanna al posto di Desolation Row, nello slot che la sera dopo è andato a A Hard Rain's A-Gotta Fall), un intervallo troppo lungo (20 minuti) tra la prima e la seconda parte, chiusura con All Along The Watchtower riconoscibile dai primi tre accordi schitarrati e poi Blowin' In The Wind, band di professionisti laminati che fanno il loro senza una sbavatura.
E poi, Bob.
In piedi per tutto lo show, diviso tra microfono, armonica e pianoforte (no, la chitarra non la suona quasi più), ha addirittura detto "grazie" (più qualche altra parola masticata e incomprensibile) prima dell'intervallo, non ha presentato la band, si è dato al pubblico - in piedi sui bis, tutti davanti, con buona pace di chi aveva sborsato 245 euro per essere in prima fila - per circa un minuto prima di sparire in camerino.

Everybody is making love, or else expecting rain, aveva cantato la sera prima.

Ci può essere un riassunto migliore?