mercoledì 30 gennaio 2013

LINCOLN vs ZERO DARK THIRTY vs LES MISERABLES

Cos'hanno in comune i tre film? Durano tutti più di due ore e mezza. E se è vero che superare le due ore di durata è diventata ormai una abitudine comune nei film di un certo livello degli ultimi anni, è vero anche che spesso non basta a farne dei capolavori, ma anzi, può penalizzarli.




Lincoln, di Steven Spielberg, è un bel film, ok, Day-Lewis è straordinariamente somigliante, nonchè molto bravo (anche se forse Lee Jones gli è superiore), ok. Ma il film è lento, lentissimo. Si svolge quasi tutti in interni, concentrandosi solo sui tentativi, più o meno puliti, di Lincoln di far approvare l'emendamento che avrebbe abolito la schiavitù negli USA. Sembra quasi una pièce teatrale, con le musiche di John Williams a cadenzare il ritmo lento e monotono, fino all'inevitabile (non è vero: sarebbe stato evitabilissimo) finale. Il vero punto a favore è che non è politicamente scorretto, segno lampante che la storia si ripete.


Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow, esce zoppicante proprio dai 160 minuti di durata, onestamente troppi. Tutto ruota intorno al decennio in cui la CIA ha ricercato Osama Bin Laden, dalle prime torture poco dopo l'11 settembre all'uccisione dello stesso Bin Laden. E se la storia è confezionata in modo egregio, con un'ottima introduzione e dei personaggi davvero riusciti (Jessica Chastain e Jason Clarke su tutti), la parte centrale rallenta pesantemente, e allontana lo spettatore, allentando la tensione e facendo perdere colpi a tutto l'impianto narrativo. Il finale, al buio, è eccezionale, e non spreca dialoghi che vadano al di là delle immagini. Con 30-40 minuti in meno, sarebbe stato un film perfetto.



Les Misérables, infine, è la trasposizione lineare del musical di Broadway, che si porta dietro, oltre alla durata, anche tutti i dialoghi cantati, con la conseguenza che quelli parlati si riducono a meno di dieci. Russell Crowe (Javert), forte anche della sua lunga militanza in varie rock band, è tra i migliori in campo, e Hugh Jackman, forse un po' troppo teatrale, è un ottimo Jean Valjean. La storia, in sostanza, è divisa in due atti, con la fine della prigionia e l'inizio della redenzione di Valjean prima e la rivoluzione e la storia d'amore tra Cosette e Marius dopo. I passaggi della trama perdono qua e là di senso, ma tutto è permesso, con le ampie licenzie del musical. Passaggi, scenografie e trucco (soprattutto per Jackman) sono di alto teatro, e l'unico vero scivolone è dato dai personaggi di Helena Bonham-Carter e Sasha Baron Cohen, del tutto fuori luogo e mal caratterizzati.

lunedì 28 gennaio 2013

I deliri non finiscono mai

Ieri, 27 gennaio, giornata della memoria.

Il signor B., evidentemente spossato dai troppi sforzi che il suo piccolo e anziano cervello è costretto a fare in questi giorni, si è fatto malamente invitare alla cerimonia di inaugurazione del monumento ai deportati, alla Stazione di Milano. E ha approfittato per farsi una robusta dormita.

Dopodichè, svegliato malamente con una gomitata, non ha trovato di meglio da dire che il povero Benito Mussolini, dopo aver fatto solo cose buone e giuste, ha avuto l'unica pecca di scivolare sulle leggi razziali. Robetta.

Al di là della retorica, sono veramente i deliri di un povero vecchio, che non sa più quello che dice.

venerdì 18 gennaio 2013

ARGO vs DJANGO

Lo dico subito, per chi non vuole perdere tempo: non c'è partita, Argo vince a mani basse.

Messo in chiaro questo, si tratta di due film radicalmente diversi.


Argo è un film lineare ma complesso, che parla di quello che è successo nel 1979-80 all'Ambasciata USA di Teheran: per farla breve, gli iraniani erano scesi in piazza per protestare contro l'appoggio americano allo Scià, fino a abbattere i cancelli dell'Ambasciata e a tenere in ostaggio una cinquantina di impiegati. Sei riescono a scappare prima che sia troppo tardi, e dopo essere stati ospitati a casa dell'ambasciatore canadese, verranno recuperati in un'operazione guidata dalla CIA, nella quale verranno fatti passare per la troupe di un ipotetico film di fantascienza dal titolo Argo, in Iran per visitare alcune possibili location.

Il film è girato in modo egregio da Ben Affleck, con grande attenzione ai particolari, e gode di ottimi attori, con il trio formato dallo stesso Affleck, John Goodman e Alan Arkin su tutti. Nelle due ore di pellicola, il ritmo è preciso, le inquadrature fatte come si deve, il taglio equilibrato, senza cadere nel banale nè nella morale. Insomma, un gran bel film, di sicuro uno dei migliori degli ultimi tempi. Senza dimenticare che anche i titoli di testa e di coda sono eccellenti.


Django Unchained, invece, promette ma non mantiene.

Nella prima ora fa ben sperare, il personaggio di Christoph Waltz troneggia su tutti, Foxx compreso, e, pur con qualche difetto e con l'inevitabile effetto splatter di ogni sparatoria, la storia di come Django e il dottor Schultz diventino partner prima e amici poi è ben fatta, divertente, interessante.
Ma purtroppo ci sono i restanti 105 minuti di film. In cui Tarantino si perde nell'ennesimo citazionismo, tutto si sbrodola, ci si accorge che la trama è piccola piccola e si sta allungano all'infinito, alcuni personaggi diventano delle macchiette parodistiche, e il finale si intuisce da subito.
Di Caprio e Jackson fanno quasi da semplici comprimari, tanto è palese il loro destino, e ci si annoia molto presto anche dei dialoghi, che spesso perdono la loro forza e hanno un umorismo forzatissimo.
La parte di Franco Nero, bè, è imbarazzante, e non certo per colpa sua.
E forse il difetto peggiore è che il film non ha un punto di svolta, non ha un momento davvero memorabile, non ha un punto centrale tanto forte da rimanere impresso.
Django Unchained non è uno spaghetti western.
Django Unchained è una dichiarazione di odio nei confronti dei western di John Ford, ma inevitabilmente ci affonda le mani, tanto che alcune inquadrature sono identiche.
Django Unchaines è un film superficiale, i cui personaggi non hanno un reale spessore, che non coinvolge e non emoziona.
La cosa migliore del film, con tutta probabilità, è la canzone di Trinità sui titoli di coda.

venerdì 11 gennaio 2013

L'ospite

Non so se siete tra i 9 milioni di persone che ieri sera hanno visto Servizio Pubblico.

Se non lo siete, vi spiego: Servizio Pubblico è un programma in onda su La7, presentata da quel marcantonio di Santoro, coadiuvato dal fido Travaglio, che talvolta ospita personaggi interessanti, illustri, famosi.

L'ospite della puntata di ieri (giovedì 10 gennaio 2013) onestamente non so chi fosse, credo un comico.

Si è presentato con la faccia ricoperta di cerone, un trucco fatto forse un po' troppo di fretta sugli occhi, un parrucchino dal colore improbabile preso in qualche emporio cinese, il naso finto, e un abito rubato alla veloce dalla costumeria del programma, evidentemente sformato da anni di utilizzo, troppo ampio sulle spalle e corto sulla lunghezza.

L'ospite, per un tempo fin troppo lungo, ha intrattenuto pubblico e telespettatori con una parodia - non troppo riuscita, ma a tratti divertente nel suo nonsense - di quella che potrebbe essere la politica della prossima campagna elettorale, con fantasiose dietrologie sull'inizio della crisi e sulla caduta dell'ultimo governo.

Un po' troppo legnose le finte scenate tra l'ospite, il presentatore e gli altri figuranti, ma via, i mezzi sono quelli che sono.

Nella sua delirante carreggiata, l'ospite ha messo in scena più o meno quanto segue:

- l'Italia non è un Paese governabile
- il Presidente del Consiglio in Italia non conta niente e non ha nessun potere
- il vero potere è nelle uniche mani del Ministro dell'Economia
- nel 2009 la crisi in Italia non si avvertiva affatto, era una visione distorta della sinistra europea e mondiale
- il fatto che i ristoranti e gli aerei siano pieni è una prova incontrovertibile che la crisi non esiste
- la dittatura è l'unica via d'uscita per l'Italia

E poi un viavai di freddure e barzellette prettamente politiche, memorabili quelle in cui:

- Berlusconi vuole costruire ospedali per i bambini
- Berlusconi vuole costruire un'università in cui i suoi amici (?) Clinton, Chirac e compagnia danzante insegnino alle nuove generazioni
- Berlusconi è generoso, e elargisce lauti prestiti a tutti gli amici che hanno bisogno di soldi
- Berlusconi ha mandato in Parlamento numerosi condannati di ogni sorta, ma, oh bè, alle volte ci si può sbagliare a giudicare le persone
- Berlusconi ha detto sì all'IMU perchè faceva parte già del precedente programma del suo partito, anzi no, cioè sì, insomma no, però non si può mica far cadere subito il governo Monti, dai
- BundesBank e Deutche Bank sono praticamente la stessa cosa, si possono anche confondere
- Berlusconi chiama i centralini di Mediaset per parlare con i dirigenti

Il tutto intervallato da clip in cui sosia (ottimi davvero) di Maroni, Brunetta e Tremonti rilasciavano finte interviste in cui dicevano chiaro e tondo che Berlusconi è un uomo finito e uno di cui c'è poco da fidarsi.

Il programma ha avuto i suoi alti e bassi, ed è stato fin troppo lungo, ma rimane comunque una spassosa istantanea di come non dovrebbe essere la politica attuale.

Meno male che non tutto quello che si vede in tv corrisponde alla verità.

martedì 8 gennaio 2013

Pastette

Non ho seguito quest'ultima edizione di X Factor, ma ne ho letto buoni commenti e buone recensioni, di come sia un buon prodotto televisivo, mondato finalmente di tutte quelle zozzerie che in Rai lo rendevano, per quanto godibile, un po' zoppicante.

Poi l'altro giorno ho sentito la canzone di Chiara, che se non sbaglio è la vincitrice, appunto, di X Factor 2012.

E' un pezzo inascoltabile.

Un'accozzaglia di parole buttate lì una dopo l'altra con una banalità disarmante, una produzione piatta, e un ritmo che sembra quasi sbagliato.

Una porcheria.

Mi sono preso anche la briga di guardare i credits, ed ecco svelato l'arcano: la canzone è stata scritta da Eros Ramazzotti. Uno che, piaccia o non piaccia, le canzoni le sa scrivere, soprattutto per se stesso. Ma rimane il fatto che, bè, il signor Ramazzotti ha un contratto con la Sony, e, guarda caso, la Sony è "proprietaria" di X Factor, che ha snocciolato l'accoppiata sotto Natale, e via.

Che amarezza.