mercoledì 25 dicembre 2013

Buon Natale!!! (musicalmente parlando) - 2013

Per chi ha già ricevuto la mia tradizionale compilation natalizia, e per chi dovesse ancora riceverla, eccovi la tracklist:

1. Frank Turner - I Still Believe
2. Johnny Ramone - Viva Las Vegas
3. Journey - Any Way You Want It
4. Leonard Cohen - Come Healing
5. Kings Of Leon - Beautiful War
6. Pure Love - Beach Of Diamonds
7. Francesco Baccini - Le Donne Di Modena (live)
8. Francesco De Gregori - La Storia (live)
9. Glen Hansard - Drive All Night
10. Joshua James - Crash This Train
11. The Pogues - If I Should Fall From Grace With God
12. Guns N' Roses - Civil War
13. Manuele Zamboni - Quando Vasco Rossi Mise Piede In Questo Bar
14. Miami & The Groovers (& Daniele Tenca) - Tears Are Falling Down (live)
15. Lou Reed - Walk On The Wild Side
16. Bruce Springsteen - Dream Baby Dream
17. Lowlands - Left Of The Dial

giovedì 19 dicembre 2013

RUNNING FOR A C(L)AUSE 2013


Per il terzo anno consecutivo, il 25 dicembre 2013 si ripeterà l'appuntamento con la corsa benefica Running For A C(l)ause!

Trovatevi un costume da Babbo Natale (ma anche solo una barba finta va benissimo), ci vediamo alle 18 davanti alla Stazione di Vercelli!

Non fate i pigri, è divertente, e soprattutto è per beneficenza... Trovate tutte le info sulla pagina facebook dedicata all'evento.

giovedì 12 dicembre 2013

Light Of Day Italia 2013

Lo scorso weekend, tanto per non farmi mai mancare dei chilometri, sono andato alle due tappe conclusive del Light Of Day Italia, sabato a Lugo e domenica a Figino Serenza.

Per chi non sapesse di cosa si tratta, il LOD è una fondazione che raccoglie fondi per la ricerca sul morbo di Parkinson, da più di 10 anni, attraverso una serie di manifestazione, principalmente musicali. Negli USA si sono esibiti (e continuano a partecipare ai vari concerti) Bruce Springsteen, Michael J. Fox, Jesse Malin, Gary U.S. Bonds, John Eddie, Willie Nile, Jakob Dylan e tanti altri, e alcuni di loro partecipano anche al tour europeo, arrivando dunque anche in Italia.

La tappa di Lugo era la terza (dopo Torino e Trieste), e Lugo è una certezza: lo splendido Teatro Rossini, sempre sold out, riesce a raccogliere più fondi delle altre tappe, il posto è magnifico, il suono sempre eccellente, l'organizzazione impeccabile.

Quest'anno la line-up americana, causa anche qualche problemino con Willie Nile, vedeva sul palco "solo" Joe D'Urso, Jesse Malin e il bluesman Guy Davis, che a Lugo erano accompagnati, oltre che dal local hero Lorenzo Semprini, anche da Danilo Sacco, già voce dei Nomadi per quasi vent'anni e adesso occupato in un paio di altri progetti.

Fin qui tutto bene, il tiro della serata è alto, Sacco - che non conoscevo come solista - oltre che essere molto disponibile è anche un ottimo cantautore, ma... C'è troppa gente sul palco. Perchè se l'idea di partenza è quella di un set acustico, in realtà tra cantanti, chitarristi, pianisti, armonicisti e via dicendo ci sono almeno dieci persone sul palco, che non si risparmiano e quindi partecipano sui pezzi degli altri, con il risultato che a un certo punto ho contato sette chitarre che suonavano tutte insieme, in un impasto sonoro magari potente ma poco efficace.
Questo, come sempre, per chi è viziato e va a guardare il dettaglio, perchè in generale lo spettacolo è stato di ottimo livello, dal primo pezzo fino ai bis, sfiorando la mezzanotte.

Dopo una lauta cena (all'una di notte) e una breve dormita, la mattina dopo - mattina, si fa per dire, è quasi l'una - si parte alla volta di Figino Serenza, piccolo paesino del comasco dove si chiuderà la quattro giorni italiana.
Nonostante la stanchezza e la nebbia (da Bologna in su) arrivo in tempo per i set acustici prima di cena, da Daniele Tenca a Renato Tammi, passando per Hernandez e Sampedro e tanti altri.
E poi, dopo la cena - preparata come sempre dalle signore del circolo dei pensionati - si va sul palco principale, dove l'ospite italiano è Francesco Baccini: sembrano tutti più concentrati rispetto alla serata precedente, il set è più intenso, Baccini voce e piano è ottimo e molto simpatico, e anche il pubblico sembra più partecipe.
Due ore abbondanti di musica, fino ai bis, con Take A Walk On The Wild Side e Light Of Day, con il ritornello ripetuto all'infinito con le luci accese in sala.

Insomma, che sia a Lugo, a Figino Serenza o da qualsiasi altra parte, vale sempre la pena di esserci.

Per la musica, per la compagnia, per dare una mano.


sabato 16 novembre 2013

MAX 20

Nel corso degli ultimi 20 anni ho visto molti, moltissimi concerti.

Bruce Springsteen, Bob Dylan, Tom Petty, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Ligabue, Vasco, Modena City Ramblers, Marah, Lowlands, Miami & The Groovers e tanti tanti altri.

Bè, domenica scorsa sono andato a vedere Max Pezzali, a Torino.

E mi sono divertito.

Perchè se è vero che negli ultimi anni - diciamo da quando ha un po' abbandonato il "marchio" 883 per diventare "Max Pezzali", l'ho seguito meno, ascoltando di fatto solo i brani che passavano in radio, dall'altra parte è verissimo che nei miei primi anni di liceo l'album d'esordio e quello successivo, "Hanno Ucciso L'Uomo Ragno" e "Nord Sud Ovest Est" andavano in loop, con tanto di video passati da VideoMusic o quello che era.

E sfido qualsiasi trentenne a negare di conoscere a memoria quasi tutte le canzoni degli 883 degli anni '90. Qualcuno se ne vergognerà, ovvio, ma sono affari suoi.

Venendo nello specifico al concerto, il signor Pezzali, anni 46, non è un grandissimo intrattenitore, ancora timido quando interagisce con il pubblico o introduce una canzone, ma mette in piedi due ore e venti di spettacolo durante il quale il pubblico (tantissimi giovani, sotto i vent'anni) applaude, balla, salta e soprattutto canta ogni pezzo, senza stancarsi mai.

L'inizio è affidato, con tanto di parole stile karaoke sui megaschermi, a un paio di pezzi nuovi, che riescono a dare un discreto ritmo alla partenza, per poi far decollare davvero lo show con Rotta Per Casa Di Dio e Gli Anni, da lì in poi sarà tutta discesa.

Il momento migliore arriva verso la fine (ma qualche cambio in scaletta ci sarebbe stato bene), quando dopo una bellissima Con Un Deca Max decide di proporre in acustico - prima piano e poi chitarra - una carrellata di brani: Nient’altro che noi, Ti sento vivere, Io ci sarò, Eccoti, lasciando ampio spazio sulle strofe al solo pubblico, che naturalmente non perde un colpo.

Arriva poi sul palco un ospite, Nikki, chitarra e voce su L'Ultimo Bicchiere (brano scritto proprio per lui da Pezzali, nell'ormai lontano 1994), prima del gran finale con Una Canzone d'Amore del bis finale Sempre Noi.

Il palazzetto è ancora pieno, chi non si è divertito peste lo colga.

Scaletta:
Ragazzo inadeguato
I cowboy non mollano
L’universo tranne noi
Lo strano percorso
Rotta x casa di Dio
Gli anni
Quello che capita
Come mai
Il mio secondo tempo
Sei un mito
Sei fantastica
Hanno ucciso l’Uomo Ragno
Come deve andare
Nessun rimpianto
La dura legge del gol
Il presidente di tutto il mondo
La regola dell’amico
Nord Sud Ovest Est
Il mondo insieme a te
Con un deca
La regina delle celebrità
Tieni il tempo

Nient’altro che noi 
Ti sento vivere
Io ci sarò
Eccoti
L'Ultimo Bicchiere (con Nikki)
Una canzone d’amore
 
Sempre noi

sabato 9 novembre 2013

Perle ai porci

Martedì scorso era a Milano Andre Agassi.

Uno sportivo che ha scritto pagine importanti della storia del tennis, oltre ad essere stato un grandissimo personaggio mediatico, nel bene e nel male, dalla fine degli anni '80 alla metà degli anni 2000.

E oltre a essere, neanche a dirlo, il mio sportivo preferito.

Agassi era a Milano inseguendo la tabella di marcia imposta dalla Longines, suo partner da qualche anno, in un tour de force che in Italia gli ha lasciato pochissimo tempo libero, subito impegnato in un paio di interviste.

Peccato che quelle due interviste - entrambe registrate e poi proposte in momenti diversi -  fossero da Fazio e a DeeJay Chiama Italia.

Con il più terribile dei presentimenti, ho registrato i 20 minuti di intervista orrendamente orchestrata da Linus e Nicola Savino, intervista in cui, ancora una volta (l'elenco dei personaggi famosi passati per una marchettata o per un dialogo vero negli studi di via Massena è infinito e spesso interessante) i due Gianni e Pinotto hanno saputo dimostrare la banalità assoluta dei loro interventi, oltre a - non parlo di Linus - una stupida ignoranza che non appartiene nemmeno più all'uomo della strada.

Questi due intrattenitori della mattinata si sono trovati davanti a un uomo di quarant'anni che non sarà mai considerato il più grande tennista di tutti i tempi, ma che ha vinto tutti i tornei possibili, i quattro del Grande Slam, le Olimpiadi, che ha sposato Brooke Shields prima e Steffi Graf poi, che ha scritto un libro autobiografico che continua a vendere milioni di copie, che sta lanciando una linea di attrezzi per fitness e palestra (BILT, insieme al suo preparatore storico Gil Reyes) e che soprattutto porta avanti con grande determinazione una sua fondazione per garantire un buon livello di istruzione a chi non se la può permettere, a Las Vegas prima e in tutti gli USA poi.
Insomma, uno che potrebbe raccontare un sacco di cose interessanti.

Per un minimo di pudore, riporto solo alcune - e non le peggiori - delle domande che Linus gli ha rivolto.

- ti piace il tennis?
- cosa avresti fatto se non il tennista?
- quanti figli hai?
- quanto è grande Las Vegas?
- qual è il tuo tennista preferito oggi?

Lasciando l'ultima domanda, un anfratto da venti secondi scarsi, proprio alla fondazione, senza poter neanche argomentare un minimo, senza che si potesse spiegare nulla.
Il tutto intervallato dalla beota idiozia di Nicola Savino, il personaggio più inutile e sopravvalutato, che nella sua immane deficienza è riuscito a chiedergli:

- cosa dici a un genitore che vede suo figlio impegnarsi in uno sport?
- come te la cavi a baseball? la becchi la palla?

Al di là di un minimo di rispetto che avrebbero comunque dovuto avere, Agassi è uno che si è trovato di fronte a David Letterman, giusto per capire il livello di interviste.
Per quanto sia stato molto gentile nelle risposte, spesso cercando di renderle molto più interessanti delle domande, non oso immaginare cosa possa aver pensato, trovandosi di fronte a questi due piccoli operai del basso intrattenimento italico (quella stessa Italia che legge Fabio Volo e ride con Checco Zalone, ovviamente).
Inutile dire che non guarderò il programma di Fazio.

Perle ai porci.

Guardatevi Letterman, e imparate.

martedì 5 novembre 2013

Dylan

Domenica sera sono andato a vedere Bob Dylan al Teatro degli Arcimboldi, a Milano.

Qualche ora prima, distrattamente, avevo letto feroci critiche negative su giornali e internet: gente che dichiarava di essersene andata a metà spettacolo, persone deluse, insulti e via dicendo.

Ora, premettendo che sono abbastanza sicuro che quelle stesse persone agli Arcimboldi non hanno mai messo piede, e che quindi scrivevano solo perchè non avevano di meglio da fare la domenica mattina.
E premettendo anche che buona parte delle recensioni live dei maggiori quotidiani nazionali è tremenda, pressapochistica, di parte e ignorante.

Se vai a vedere Dylan devi sapere a cosa stai andando incontro.

Se ti aspetti una carrellata di greatest hits, con gli arrangiamenti originati, una sfilza di Highway 61, Masters Of War, The Times They Are A-Changin' e via dicendo, con Dylan a sferzare la sua Stratocaster dall'inizio alla fine, bè, hai sbagliato tutto.

Se vai a vedere Dylan devi aspettarti una scaletta standard, con cambiamenti minimi (una canzone?) da una sera all'altra, ma è anche vero che, complice il costo del biglietto, sarà difficile seguire tutto un tour.
Se vai a vedere Dylan non devi aspettarti nessuna interazione con il pubblico.
Se vai a vedere Dylan non ti basta neanche sfogliare tutto il suo canzoniere, perchè spesso ripesca pezzi dimenticati e polverosi.
Se vai a vedere Dylan e vuoi riconoscere le canzoni devi stare attentissimo al testo, perchè gli arrangiamenti sono diversi, strani, imprevedibili.
Se vai a vedere Dylan devi prepararti - almeno nei teatri - ad avere intorno parte dell'intellighentia cittadina, che il più delle volte è lì solo per criticarlo, prima di aver sentito una singola nota.
Se vai a vedere Dylan devi aspettarti che le file al bagno siano piuttosto lunghe, e sì, anche quelle degli ometti, che la prostata è sempre in agguato.
Se vai a vedere Dylan devi sperare di non accendere un mutuo. Per un solo concerto.
Se vai a vedere Dylan - sempre in teatro - vedrai maschere non troppo competenti rimproverare i pochi facinorosi che lasciano la loro poltrona e tentano un assalto alle transenne.
Se vai a vedere Dylan vedrai che le transenne hanno lo scopo di tenere lontano il pubblico dal palco.

Se vai a vedere Dylan devi mettere in conto che potresti anche uscirne deluso.

Detto questo, il concerto di domenica sera è stato un signor concerto.
Un solo cambio rispetto alla serata precedente (Visions Of Johanna al posto di Desolation Row, nello slot che la sera dopo è andato a A Hard Rain's A-Gotta Fall), un intervallo troppo lungo (20 minuti) tra la prima e la seconda parte, chiusura con All Along The Watchtower riconoscibile dai primi tre accordi schitarrati e poi Blowin' In The Wind, band di professionisti laminati che fanno il loro senza una sbavatura.
E poi, Bob.
In piedi per tutto lo show, diviso tra microfono, armonica e pianoforte (no, la chitarra non la suona quasi più), ha addirittura detto "grazie" (più qualche altra parola masticata e incomprensibile) prima dell'intervallo, non ha presentato la band, si è dato al pubblico - in piedi sui bis, tutti davanti, con buona pace di chi aveva sborsato 245 euro per essere in prima fila - per circa un minuto prima di sparire in camerino.

Everybody is making love, or else expecting rain, aveva cantato la sera prima.

Ci può essere un riassunto migliore?

sabato 26 ottobre 2013

Miami & The Groovers - NO WAY BACK [recensione]

Finalmente - e questo finalmente dovrebbe comprendere anche il tante volte ignorante pubblico mainstream, non solo quello del rock n roll di nicchia - anche i Miami & The Groovers hanno dato alle stampe un cd/dvd live che si rispetti.

Intendiamoci, un accenno ce lo avevano già regalato qualche anno fa (con The Official Bootleg, 2009), su youtube si trovano decine di loro performance nei posti più disparati, e a questi si aggiunge qualche bootleg ben fatto ad opera di volenterosi, ma questa volta ci troviamo in mano un prodotto ufficiale, prodotto in modo meticoloso e tecnicamente ineccepibile, che riesce nella difficile impresa di riassumere in qualche modo una storia lunga più di dieci anni.

Il cd/dvd No Way Back comprende estratti dei due - bellissimi e intensi - concerti tenuti dai Groovers il 23 e 24 marzo di quest'anno al Teatro di Cesenatico, momenti ben scolpiti nella mente di chi c'era.

Il cd, così come il concerto, si apre nella penombra, in modo livido e essenziale, con Always The Same, che si apre all'elettricità rock prima che scocchino i suoi due minuti, per poi lasciare spazio a Burning Ground (tratta dall'ultimo album in studio, come la precedente), e quindi alla pausa romantica di Lost (dal primo disco), che diventa un ottimo preludio a Tears Are Falling Down, brano in cui, oltre alla piacevolissima presenza al microfono di Daniele Tenca, si sente forte e chiara la risposta del pubblico, quel nutrito manipolo di fan della prima o dell'ultim'ora, che continuano a urlare il ritornello anche dopo la fine del pezzo, segno inequivocabile che con alcune canzoni Lorenzo e i suoi Groovers sono entrati nel cuore e nel pensiero comune di chi li segue da anni.

E' Renato Tammi l'ospite alla chitarra di Audrey Hepburn's Smile, brano che il gruppo riminese portava in giro anche un anno prima della sua incisione, con il titolo Too Long In Exile, e quindi il motore sale di giri su Jewels and Medecine, prima di lasciare il passo al secondo momento romantico del disco, quella Love Has No Time che, così come sul disco (Merry Go Round) fa da preambolo alle chitarre infuocate di Sliding Doors.

La band è in gran spolvero, i suoni rendono anche su cd l'atmosfera del teatro e di quei concerti, e la successiva Good Things si porta dentro tutta la sua ventata di ottimismo, seguita da una nuova e più ruvida versione di Highway, e quindi a Broken Souls, altro brano particolarmente amato dal pubblico dei Groovers.

Dopo It Takes A Big Rain, si torna alle origini con Rock N Roll Night, traccia 1 del primo album in studio (Dirty Roads, 2005), quindi It's Getting Late, e poi arriva il momento di We're Still Alive, brano simbolo degli ultimi mesi di tour dei M&TG, con il suo ritornello infinito, cantato a squarciagola dal pubblico, che ha ancora tutta la voglia di essere vivo e di sentirne ancora.
Il finale è affidato a una bellissima Merry Go Round, che riesce a riportare anche su disco l'intensità e il messaggio di quella sera a teatro.

Il dvd non è una semplice riproposizione video del cd, ma ha una scaletta diversa, e riescono a trovare spazio anche On A Night Train, Under Control, Walkin' All Alone, Back In Town, Redemption Song (cantata da Beppe Ardito), Waitin' For Me, Last R&R Band, One Way Ride, ma soprattutto è ricco di dietro le quinte, prove, interventi e commenti da parte di tutti i membri della band, oltre che di Daniele Tenca, Riccardo Maffoni, Ed Abbiati e tanti altri, regalando la fotografia di un'esperienza davanti e dietro al palco, con un messaggio forte e chiaro e una confezione perfetta.
Sui titoli di coda, poi, viene data voce anche al pubblico e alla gente comune, intervistata attimi prima di entrare in platea, a mettere anche la sua firma sul grande libro di No Way Back.

Certo, come spesso accade, anche in questo caso noi viziati del rock n roll non siamo mai contenti: si poteva magari lasciar fuori qualcosina e mettere dentro un aneddoto di Lorenzo "Miami" Semprini, o sovrapporre la voce di Andrea Boido all'ingresso della band, ma sono dettagli.
Le canzoni rendono meglio che nelle versioni in studio, prendono una vita propria e sono supportate alla grande dal pubblico, che, come si può vedere in molte inquadrature, le conosce a memoria, e le restituisce alla band sul palco.

Suoni, riprese, titoli, montaggio, tutto è costruito in modo eccellente, e, neanche a dirlo, professionale, e riescono a dare un'immagine perfetta e quasi mai sgranata dei Miami & The Groovers di oggi e del loro pubblico, dopo più di dieci anni on the road, tra locali sconosciuti e scalcinati e grandi palchi.

Per chi c'era, per chi non c'era, per chi conosce i Miami e per chi non sa chi siano, No Way Back è un disco da avere e da mettere nello stereo a tutto volume.
Non riuscirete a rimanere fermi, dovrete cantare e ballare, o almeno sorridere.

Le parole migliori per chiudere questa recensione sono quelle di Lorenzo Semprini, sul finale di Merry Go Round:

...e alla fine del giro non importa se ti sei divertito, se sei stato male, se hai incontrato persone stupende o altre che vorraii solo dimenticare, se ci saranno stati giorni grigi, bui, tempestosi, piovosi, e altri invece assolati, giorni perfetti... e ti ricorderai di tutto, di chi è stato buono con te, di chi è stato cattivo, di chi ti ha offerto qualcosa e chi no... ti ricorderai delle serata in cui ti sei divertito, e di quelle in cui sei rimasto da solo, a letto, a piangere. Ma alla fine di tutto questo giro, e di questa giostra, tutto quello che hai, avete, abbiamo capito, è che quel giro di giostra alla fine vale sempre la pena farlo. Buona fortuna a tutti.

giovedì 10 ottobre 2013

Il Gianni nazionale

Sì, sia lunedì che martedì ho visto Gianni Morandi in tv, in diretta dall'Arena di Verona.

Dal vivo l'ho visto verso la metà degli anni '90, in un oscuro paese del Monferrato, e già allora la platea era formata prevalentemente da carampane molto arzille, che sciorinavano le parole dei suoi brani una per una, a memoria.

Ma torniamo a noi, ho visto Gianni in tv, tutte e due le sere, e non me ne vergogno affatto.

La serata di lunedì inizia fortissimo, mettendo in fila, tra le altre, Un Mondo d'Amore, Vita, Non Son Degno Di Te, Scende La Pioggia, per poi coinvolgere Cocciante, presente in prima fila, in un accenno di Margherita, e ancora Bellemilia, la canzone dedicata alle vittime del terremoto.
Il palco è grandioso, band e orchestra in gran spolvero, Morandi sembra qua e là avere qualche problema di fiato, ma non facciamogliene una colpa, a 68 anni.

I ritmi non sono dettati più di tanto dalla televisione, ma ecco che arriva Fiorello, che in 20 minuti ruba letteralmente la scena al Gianni nazionale, con un breve monologo e poi con un mini medley di tante sue canzoni, per poi duettare con Morandi su Si Può Dare Di Più e Se Perdo Anche Te. Esagerato, sopra le righe, gigione, dite quello che volete, ma Fiorello è riuscito a dare una marcia in più a uno spettacolo che già stava funzionando da solo, riuscendo anche a uscire di scena in modo perfetto per poi inciampare sulle pause pubblicitarie, tornare sul palco, dire una parolaccia a microfono aperto e poi salutare definitivamente.

Continuare dopo un mattatore del genere è difficilissimo, ma Gianni ci riesce, alzando ancora l'asticella e intonando prima Occhi Di Ragazza e poi Piazza Grande, mentre sull'Arena scende ancora qualche goccia di pioggia. Il trittico, strepitoso, si chiude con C'era Un Ragazzo, applausi a scena aperta e tutto il pubblico a cantare.

Ed ecco che arriviamo alla prima battuta d'arresto della serata: Raffaella Carrà. Perchè in una serata che non prevede grandi duetti, e in cui già Fiorello ha preso abbastanza scena, la presenza della Carrà non aggiunge niente, ma anzi, ruba solo tempo prezioso, lasciando lì sia Bella Belinda che Banane E Lampone che avrebbero fatto più bella figura cantate dal solo Morandi.

Gianni, tornato finalmente solo, recupera il tempo perduto con una splendida Uno Su Mille, per poi introdurre il vero gigante della serata, Ennio Morricone - che una cinquantina di anni fa arrangiava proprio i brani di Morandi - che prima dirige l'orchestra con il tema di C'era Una Volta In America, e poi lo stesso Gianni, con Se Perdo Anche Te e Ho Visto Un Film (Nicola e Bart), accompagnandolo con un grande e strepitoso coro.

Il finale è affidato a In Ginocchio Da Te, ottima sigla di chiusura, al termine della quale il palchetto centrale, che si fa largo tra le prime file, viene assediato dalle signore con pettinature improbabili e capelli azzurrini, in cerca di una reliquia di Gianni.

In definitiva, un ottimo concerto, al quale magari sono mancate le chicche dei primi anni, quelle più ye-ye, ma a cui davvero non si può rimproverare nulla (a parte, come già detto, la comparsata poco utile della Carrà).

Martedì invece Gianni sembra più stanco, l'inizio stenta un po' con il pezzo nuovo Bisogna Vivere, poi una gran Chimera e una piacevole Ma Chi Se Ne Importa, per poi incespicare pesantemente con le ospitate. Prima Rita Pavone, non al massimo della forma ma che era lì di fatto per presentare il suo nuovo disco - e che al passaggio spreca i primi brani di Morandi (Andavo A Cento All'Ora, Fatti Mandare Dalla Mamma e altre), poi l'inutile Checco Zalone (film in uscita) e ancora Cher, che nemmeno sapeva chi fosse Morandi, e che si è esibita con tanto di ballerini in un orrido playback, tra l'altro sfumando la presentazione di Gianni. E poi ancora Nina Zilli, Noemi, Bianca Atzei (brutta la sua versione di In Amore).
Bello invece il duetto con il figlio Marco (che sembra più vecchio del padre), e verso il finale le cose migliorano, soprattutto con Grazie Perchè (con Amii Stewart) e con un paio di pezzi solo voce e chitarra, per poi chiudere, forse un po' troppo presto, con Scende La Pioggia.

Insomma, una seconda serata davvero troppo televisiva, con Morandi però presentatore impacciato e arrugginito, che riesce a dettare tempi e modi dello spettacolo quando è da solo sul palco, senza troppi fronzoli e ospiti ingombranti.

Nel complesso, prendendo il meglio di entrambe le serate, abbiamo ancora una volta avuto il Gianni nazionale, di cui tutti sappiamo a memoria le canzoni e le cantiamo a squarciagola, senza vergognarcene.

Tatatata ta Tatatata ta Tatatata ta Tatatata ta Tatatata taaaa...

martedì 8 ottobre 2013

Cesare Carugi - PONTCHARTRAIN [recensione]





Sgombriamo il campo da dubbi: l'EP di esordio di Cesare Carugi, "Open 24 HRS", per quanto molto buono, risulta forse un po' acerbo, anche se c'erano tutte le avvisaglie di un ottimo disco in un prossimo futuro.


Le promesse sono poi state mantenute con il primo cd vero e proprio, "Here's To The Road", un disco ben scritto, ben cantato e ben suonato, ricco di chitarre acustiche e prodotto senza sbavature, con la passione di chi ha la musica nel sangue.

Adesso, con "Pontchartrain", il cantautore toscano continua a migliorare, dimostrandosi un ottimo interprete delle proprie canzoni, senza tralasciare l'ottima pronuncia inglese.
Già dal primo ascolto si respira un rock delle origini, si sentono le assi dei palchi di legno scricchiolare, c'è il cielo e la terra, ci sono sole e nuvole, e un po' tutte le tracce del disco sembrano attraversate da un filo di malinconia, che può senza dubbio rimandare al lago americano da cui l'album prende il nome.

Si parte con Troubled Waters, brano che potrebbe senza dubbio appartenere a John Hiatt (e che inserisce subito nel cast la slide di Paolo Bonfanti), per poi passare a una ballatona piena come Carry The Torch. La chitarra elettrica dello stesso Carugi, insieme all'armonica, sono invece i protagonisti di Long Nights Awake, che lascia spazio alle atmosfere più country di Your Memory Shall Drive Me Home.
Il duetto ritmato di Charley Varrick ha un'atmosfera più sfumata, mentre il "lato A" del disco viene chiuso dalla title track, Pontchartrain Shuffle, con Francesco Piu a dare una mano, ritmo incalzante e gran divertimento.
Si riprende con i toni drammatici di Morning Came Too Early, per poi arrivare a uno dei punti più alti dell'album, Drive The Crows Again, che parte lentamente per poi sfociare nello splendido violino di Chiara Giacobbe.
Dopo la più elettrica Crack In The Ground e il bluesaccio alla Tom Waits di My Drunken Valentine, è il piano - insieme ai fiati - a accompagnare la dolce e suadente When The Silence Breaks Through, altro ricco punto di forza del disco.
A chiudere i solchi ci pensa We'll Meet Again Someday, che scivola sui titoli di coda regalando tinte più rosee; ad accompagnare Carugi questa volta ci sono i Mojo Filter, band dalla solida esperienza rock, che mettono in musica un gran bel pezzo indie-roots, che chiude il sipario su questo album facendo già l'occhiolino al prossimo, "ci incontreremo di nuovo prima o poi".

Insomma, è un gran bel disco quello di Cesare Carugi, che se non gioca l'asso della manica di stupire subito con l'impatto violento delle canzoni, ma si fa largo piano, con calma e eleganza, dando all'ascoltatore il tempo di assimilare musiche e testi, per poi ascoltarli ancora e ancora.

Sarebbe un lavoro perfetto per il vinile, con il tempo necessario anche a cambiare lato del disco e appoggiare di nuovo la puntina, ma rimane il fatto che Pontchartrain avrà una vita molto molto lunga.

Per tutti i dettagli su Cesare Carugi e sulle prossime date del tour: www.cesarecarugi.com

venerdì 4 ottobre 2013

Giorni di Gloria e Canzoni




Lo scorso week-end, nonostante il traffico mostruoso e i vergognosi lavori su quasi tutto il tratto autostradale, sono riuscito a arrivare in quel di Rimini, per la quindicesima edizione dei Glory Days, la festa annuale dedicata a Bruce Springsteen e ai suoi fan.

Sono stati tre giorni eccezionali, in cui ho cantato, urlato, ballato, giocato a pallone, visto tanti amici, bevuto un numero forse troppo alto di birre, recuperato dischi (prossimamente arriveranno le recensioni di No Way Back dei Miami & The Groovers e Pontchartrain di Cesare Carugi), varie, eventuali.

E poi, inevitabilmente, ecco arrivare le polemiche, che ormai sembrano un brutto vizio della compagine springsteeniana.

Per farla breve, la polemica era sul fatto che ai Glory Days sia giusto o meno che gli artisti propongano non solo le cover di Springsteen ma anche le loro canzoni originali.

Partiamo dicendo che gli artisti di questa edizione erano molti: Hernandez & Sampedro, Daniele Tenca, Daniele Rizzetto, Miami & The Groovers, Lowlands, Antonio Zirilli e tanti altri.

Tutta gente che non si vergogna certo a dire di essere cresciuta a pane e Springsteen, di aver imparato a strimpellare qualche nota proprio ascoltando le sue canzoni, e di averle poi smontate, rimontate, studiate, imparate, riproposte, suonate, tra le mura di casa o davanti a un pubblico.
Troppo spesso si sente dire che questo o quel pezzo non valgono nulla perchè "ci sono solo tre accordi". Perchè un'enorme parte delle canzoni più belle, più conosciute e più suonate al mondo si basano su tre, quattro, cinque accordi, difficilmente di più, e una volta che capisci come far funzionare quei tre accordi, bè, ti viene voglia di provare a farli funzionare in un altro modo, di fare canzoni tue, e magari, inconsciamente, capiterà che quella canzone "nuova" somigli un po' troppo a qualche brano di Springsteen e compagni, e allora magari ti darai da fare un altro po' fino a che non avrai ottenuto una vera canzone originale, sperando che suoni bene.

Tutto questo per dire che certo, gli artisti che suonano ai Glory Days hanno o hanno avuto come riferimento Bruce Springsteen, ma poi hanno trovato la loro direzione, e hanno fatto canzoni loro, in italiano o in inglese, e il miglior omaggio a Springsteen è proprio salire sul palco e proporre pezzi originali, come faceva lui più di quarant'anni fa.

Tutto questo lo springsteeniano talebano e integralista non lo capisce, non lo tollera, non lo vuole sentire.

E purtroppo lo springsteeniano talebano e integralista è quasi sempre lo stesso che va davanti agli stadi tre giorni prima, che ascolta solo Springsteen e pensa che tutto il resto della produzione musicale mondiale sia letame, e poi magari non conosce neanche le parole dei pezzi di Bruce, anche se per lui sono il vangelo.

Speriamo ce ne siano sempre di meno.

E, nel dubbio, viva la musica originale.

p.s. so perfettamente che nel video i Lowlands non cantano una loro canzone ma un pezzo dei Replacements. Ma leggetevi e ascoltate il testo.

martedì 24 settembre 2013

Il caso (?) Joel Dicker





Per quei pochi che non l'avessero notato, il libro dell'estate è stato La verità sul caso Harry Quebert, del misconosciuto Joel Dicker.


Il libro è l'opera seconda del giovane scrittore svizzero, ha vinto qualche premio in patria, e poi è stato recensito come rivelazione dell'anno da giornali, riviste, blog e via dicendo.

Peccato però che sia del tutto sopravvalutato.

In due parole, il libro parla della scomparsa di Nora Kellergan, più di trent'anni prima dell'attuale svolgimento, e, con continui - e talora fastidiosi - flashback e flashforward, ripercorre tutta la sua storia, andando alla ricerca dell'assassino, intervallandola con quella del protagonista, novello scrittore emergente che cerca l'ispirazione per il secondo libro.

Fin qui niente di male, ma vediamo i lati negativi.

1. Il libro, letto in italiano, è tradotto e adattato in modo terrificante, mettendo insieme qua e là frasi senza senso, parole che non si usano più da decenni, e spesso spezzando il ritmo della narrazione.
2. Quasi 800 pagine sono veramente troppe per un libro senza una trama lineare. Se all'inizio la struttura sembra interessante, da metà in poi annoia e annacqua il tutto.
3. I personaggi sono pochi, e quando mancano 200 o più pagine alla fine si intuisce chiaramente chi sarà il colpevole.
4. I personaggi sono sfaccettati male, quasi appiattiti, e soprattutto verso il finale perdono la forza che potevano avere all'inizio.
5. Il finale è spento, lento, brutto.

Intendiamoci, non è da buttare via, ma sicuramente non merita tutti i plausi che ha ricevuto. Alcune cose sono simpatiche, come la metafora della boxe con il mestiere di scrittore, ma si perdono nelle - ripeto, troppe - quasi 800 pagine.

Un libro da leggere in spiaggia, ma niente di più.

mercoledì 18 settembre 2013

Concordia

La tiritera la conoscete tutti, Schettino, la badante rumena (o quello che è), lui che fa il brillante con l'inchino, stringe la curva, buca, scappa, torni a bordo cazzo, bla bla bla.

La Costa Concordia è rimasta dov'era per più di un anno e mezzo, con orrende frotte di turisti e curiose che andavano beoti a fotografarla e a vedere il grande relitto.

Poi, dopo un lunghissimo tira e molla di impegni e promesse, un giorno e mezzo fa hanno cominciato a raddrizzarla, per poterla poi portare via, smantellarla, varie, eventuali.

E adesso? Tutti giù a dire che abbiamo gli occhi del mondo addosso, che noi sì che siamo bravi perchè abbiamo raddrizzato la barchetta, che non l'ha mai fatto nessuno, e dobbiamo esserne orgogliosi, bla bla bla.

Voglio dire, ma adesso dobbiamo essere orgogliosi perchè abbiamo bucato ma siamo anche capaci di usare il cric?

Parafrasando Fantozzi, la Costa Concordia è una cagata pazzesca.

giovedì 25 luglio 2013

Springsteen & I (postilla)

Perchè mica era finita qui.

Ho scoperto che non solo i cinema italici ci hanno spillato 10 euro per lo spettacolo solitamente scontato del lunedì, ma ci hanno pure tagliato la parte finale di Springsteen & I. Evidentemente avevano fretta di andare a casa.

Meno male che c'è internet, va.


E per chi avesse ancora qualche dubbio, leggete qui cosa ne pensa l'amico Cala, che ne sa.

martedì 23 luglio 2013

Springsteen & I

Ieri sera sono andato al cinema, a vedere Springsteen & I.

E aggiungo subito, mentre di solito (e anche per gli altri spettacoli) il lunedì sera si paga 6,50 euri, questo invece ne costava 10. E vabè.

Sala praticamente vuota, pochissimi fan, molti ragazzini che neanche sanno chi sia il rocker del Jersey, qualche anzianotto, e basta. E vabè.

Senza star tanto lì a girarci intorno, il film/documentario merita la sufficienza in pagella? Non lo so, nel caso è un 6 proprio tirato.

Perchè se da una parte è vero che sembra (sembra, ovvio, perchè se c'è Ridley Scott a produrre sembra e basta) un prodotto quasi artigianale, una serie di video fatti dai fan in giro per il mondo, dall'altra risulta abbastanza noioso, piatto e banale, con pochissime storie a essere davvero degne di nota.

C'è tutta la storia dell'Elvis di Philadelphia, il tizio che sale sul palco e canta con Bruce prima All Shook Up e poi Blue Suede Shoes, e ok.

C'è la laureata con tanto di master che fa la camionista in giro per l'Arizona e ascolta Nebraska, e ok.

C'è il tizio che è stato lasciato dalla ragazza (quello del video in fondo) che si prende un abbraccio da Bruce, e ok.

C'è la coppia di (credo) inglesi, dove lei trascina lui in giro per il mondo a vedere Springsteen, e a lui di Springsteen non gliene frega niente e si lamenta che i concerti sono troppo lunghi, e ok.

C'è l'operaio inglese che racconta la sua avventura al Madison Square Garden, e ok.

C'è il ragazzo danese che (credo) lavora allo stadio, che racconta (ingarbugliandosi con le date) di quando ha registrato il concerto del Tunnel Of Love Express Tour sul suo walkman, ma che poi sporca un po' tutto con la favola di Blood Brothers suonata a Copenhagen nel Reunion Tour (cosa mai successa).

Ma poi, direi, basta.

Perchè ci sono dei video per niente spontanei, provati e riprovati più volte per "venire bene davanti alla telecamera", ci sono dei personaggi che definire casi umani è un eufemismo mentre altri non lasciano proprio niente, c'è quella, immancabile, che "eh, voi che non lo avete visto nei piccoli club non potete capire", quella che dice che Red Headed Woman è una bellissima canzone d'amore, e un sacco di altri bla bla bla, che raccontano, di fatto, l'adorazione di una generazione abbastanza ristretta per Bruce Springsteen, ma senza scavare più di tanto in profondità, e lasciando molto ai margini tutti i fan non americani.

Poi ci sono spezzoni di concerto, tutta roba già vista su dvd o youtube, discretamente (ma non di più) montata.

E poi, dopo i circa 80 minuti di documentario, c'è un'altra mezz'ora con qualche canzone dal concerto di Londra dello scorso anno, le stesse cose mandate in onda dalla tv britannica (credo) e circolate già ampiamente su internet nei mesi passati.

Ora, perchè sono qui a criticare? Perchè se un concerto di Springsteen può essere visto in modo diametralmente diverso da un fan della prima ora e da un neofita, un film/documentario dove i fan di Springsteen parlano di perchè amano Springsteen intervallati da spezzoni di concerto di Springsteen e con alla fine qualche canzone dal vivo recente di Springsteen, bè, direi che il target è abbastanza ristretto, e lì non ti puoi permettere di abbozzare.

Immagino che il materiale da cui pescare fosse più che abbondante, e il web è strapieno di "materiale d'archivio" da cui recuperare spezzoni live di ogni tipo e epoca.

E con tutto questo, il prodotto che ne è venuto fuori - ripeto, a firma Ridley Scott - è mediocre, e non rende giustizia alla bella idea di partenza.

Leggo ora che Springsteen & I passerà su Sky in autunno e poi verrà pubblicato in dvd a Natale.

Fate voi.

lunedì 22 luglio 2013

Passaggio

No, non sorpasso. Passaggio.

Partiamo dalle cose importanti: Valentino Rossi non è finito. Valentino Rossi continua a essere il più grande di tutti, soprattutto se si tiene conto che ha buttato via due anni con la Ducati, che ha avuto problemi fisici e che è uno dei vecchietti sulla griglia di partenza. Ma non ci sono scuse: Valentino Rossi continua a essere il più grande di tutti, e basta.

Solo che sulla sua strada ha trovato Marc Marquez, un predestinato, un campione vero, che potrebbe vincere in carriera come e più di Valentino. Saltando una generazione di piloti.

Sì, perchè i piloti della generazione di Rossi li ha battuti il Dottore stesso, dandogli una gran paga. Quelli di poco più giovani, anche, o perchè non si sono mai imposti davvero (vedi Pedrosa e altri), o perchè semplicemente Valentino era più forte. Sì, anche di Stoner, e chiudo qui il discorso.

Ieri Marc Marquez ha sorpassato Valentino al cavatappi di Laguna Seca, lo stesso punto in cui Rossi anni fa aveva passato Stoner. C'era poco da resistere, lo spagnolo ne aveva di più e lo avrebbe comunque passato qualche curva dopo, inutile rischiare di buttare via punti e podio.

Ma in quel momento, in quel sorpasso, c'è stato un vero e proprio passaggio di consegne, Valentino ha passato il testimone a Marc, e adesso tocca a lui.

Ovvio, ogni volta che potrà il Dottore gli metterà le ruote davanti, ma ormai ha trovato un erede.

E va bene così.

domenica 14 luglio 2013

Carroponte (Glen Hansard) e piazza (Cisco)

Sabato scorso ero al Carroponte, a Sesto San Giovanni, per vedere Glen Hansard e la sua band.

Per chi non lo sapesse, il Carroponte è una delle location più belle per la musica dal vivo all'aperto nel milanese, ben organizzato e ben gestito. Glen Hansard, invece, è il ricciolone rosso sulla locandina di The Committments, che dopo il film non ha mai smesso di fare musica, e di farla dannatamente bene.

Mentre la band sta salendo sul palco, Glen compare in mezzo al pubblico, berretto di lana in testa e chitarra in braccio, e tira fuori dal cilindro una Say It To Me Now unplugged, per poi unirsi ai suoi musicisti e andare avanti per tre ore abbondanti di ottima musica, percorrendo tutto il suo cammino musicale (dai Frames agli Swell Season all'esperienza solista, con perle come Fitzcarraldo, Talking To The Wolves, High Hope e molte altre, fino alla parte finale del concerto, quando riappare sul palco Lisa Harrigan (che aveva aperto per Hansard con un set di poco più di mezz'ora) per un paio di duetti, tra cui l'immancabile Falling Slowly, particolarmente intensa.

Arrivano sul palco anche un paio di bottiglie di Jameson, e è il momento del moderno traditional irlandese The Auld Triangle, su cui tutti i musicisti (ma anche tecnici, roadie e via dicendo) cantano una strofa, e tutto il pubblico partecipa al ritornello, dieci minuti e più di musica e divertimento.

Ma non è ancora finita: a microfoni spenti, è la volta di Passing Through (Pete Seeger prima e Leonard Cohen poi). La voglia di suonare e di stare tra la gente è ancora tanta, Glen e tutta la band suonano prima a bordo palco, poi scendono tra il pubblico, e poi ancora, si spostano sull'altro palco (buio e ovviamente non amplificato) del Carroponte, continuando senza sosta, voce, chitarre, ottoni, archi e tutto il resto.

Mezzanotte è passata da un pezzo, ma c'è ancora tanta musica.

Venerdì invece ero a Alice Castello, in piazza, per il concerto di Cisco.

Se Alice Castello è un buco di paese tra Vercelli e Biella, Cisco invece è stato per anni la colonna portante dei Modena City Ramblers, per poi lasciare la formazione nel 2005 per dedicarsi all'avventura solista.
In queste settimane Cisco porta in giro il suo tour "Indietro Popolo", in cui ripercorre, cronologicamente al contrario, la sua storia musicale, quella dei MCR e un po' anche quella dell'Italia.
I primi pezzi hanno un suono più vicino all'America Latina, Come Se Il Mondo, Onda Granda, La Lunga Notte e poi La Dolce Vita a farla da padroni, ma tutto cambia quando cisco appoggia la chitarra e imbraccia il bodhran, per regalare una I 100 Passi eccezionale, cantata a squarciagola da tutto il pubblico. Da lì in poi sarà una lunga cavalcata attraverso i pezzi storici dei Modena, da Transamerika alla Banda del Sogno Interrotto a Clan Banlieue e tante altre.

Prima dei bis c'è una piccola pausa, e dal pubblico si leva bella e potente Bella Ciao, che richiama sul palco i musicisti (due chitarre, batteria, contrabbasso, violino e tromba), che eseguono ancora In Un Giorno Di Pioggia, Quarant'anni, A M'In Ceva Un Caz e una Bella Ciao elettrica e cattiva, per poi chiudere con la bellissima Ninnananna.

Sembra tutto finito, è già partito il cd con Wild Rover, ma poi Cisco ci ripensa, richiama i suoi sul palco e mette davvero la parola fine alla serata con Contessa, come è giusto che sia.

Un'altra grande serata, un gran suono, della gran musica.

Come vedete, ho parlato del Carroponte e della piazza di un paesino, non dei grandi stadi di Roma o Milano. Perchè in fondo alle volte chissenefrega dei grandi nomi o degli articoli sui giornali, la musica vera è anche quella più vicina a noi.

venerdì 28 giugno 2013

Siamo cresciuti insieme


Dieci anni fa. Esatti.

Intorno alla mezzanotte del 28 giugno 2003 (sì, avete capito bene, della notte tra il 27 e i 28, che c'è di strano?) arrivo davanti a San Siro, e con "davanti" intendo che ho proprio parcheggiato la macchina nel piazzale dello stadio, a pochi metri dagli ingressi 13 e 14.

Perchè, dopo un'attenta operazione di intelligence (leggi: ore buttate via) avevo stabilito che quelli sarebbero stati gli ingressi migliori per lo sprint dentro il pit e poi sotto al palco. Ipotesi poi naturalmente andata in fumo.

Ai tempi non c'erano lotterie e diavolerie varie, si entrava nel pit da tutti i cancelli o quasi, il che voleva dire che a occhio le prime 50-100 persone di ogni cancello avrebbero ricevuto il braccialetto, guadagnandosi quindi l'ingresso nel pit.

Ah, ma non avete ancora capito di cosa sto parlando?

Bruce Springsteen & The E Street Band. A San Siro, Milano. Dieci anni fa. Diciotto anni dopo la loro prima comparsata nello stesso stadio.

Tornando a noi.

Arrivo allo stadio intorno a mezzanotte, sono il numero 3 (il numero 2 non arriverà mai, poltrone), ma nessuno si è ancora preso la briga di fare una lista. Mi improvviso allora uomo lista, estraggo un foglio, una biro, un pennarello nero e comincio a vergare numeri a destra e a sinistra, dettando legge per gli appelli, cercando un giusto equilibrio tra i cuori di burro troppo democratici e gli springsteeniani talebani cresciuti nel culto della sofferenza e del dolore.

La sofferenza arriva comunque, sotto forma di umidità, zanzare, diluvio, e poi, una volta spostata la macchina vicino all'ippodromo (alle prime luci dell'alba), caldo clamoroso, sole, varie, eventuali. Per fortuna l'atmosfera rimane rilassata, tra disciplina e buonumore, e non molto dopo pranzo ci mettiamo in fila nelle transenne, e attendiamo i braccialetti con la faccia stanca di chi si prepara all'ultimo sprint.

Poi, naturalmente, il delirio.

I cancelli vengono aperti non tutti insieme ma in ordine casuale, si crea un imbuto all'ingresso del pit, gente che scavalca, gente che si fa male, gente che si insulta, e alla fine siamo dentro. Altre ore di attesa, svuotando gli zaini dagli ultimi panini, acqua, gatorade.

E poi inizia.

Partono le note di Morricone (C'era una volta il West, mica cotiche), sale la band, e dopo qualche minuto l'armonica del rocker del Jersey dà il via a The Promised Land, cui faranno seguito altre 24 canzoni.

E se gli accendini su Darkness On The Edge Of Town fanno capire che in fondo il pubblico italiano è un po' confuso, il diluvio universale misto al freddo siberiano che arriva sul finire di Empty Sky manda a ramengo gli schemi, distrae quasi tutto il prato su The River, e regala al pubblico una Waitin' On A Sunny Day eccezionale, con tanto di cappello da cowboy e scivolata infinita sul palco.

E poi arriva Growin' Up.

Che parte normale, ma poi a metà Bruce "a little more piano, lights down, eccomi qua, a Milano, nel 1985, e per la prima volta ho suonato in Italia", fa tutto un discorso sulla prima volta che è venuto in Italia, e su come siamo cresciuti insieme, e tutti a dire che no, i rocker veri non piangono mai, dai, è la pioggia, su.

Ci saranno ancora Follow That Dream, No Surrender, lo sguardo di Bruce e Patti sul "c'mon rise up" di My City Of Ruins, la Rosalita finale e via dicendo, ma quella Growin' Up rimarrà per sempre il punto centrale del concerto.

Anche dieci anni dopo.

lunedì 24 giugno 2013

Io non ci vado

Non sono un grandissimo fan del calcio, va detto.

E naturalmente non ho visto nemmeno un minuto di questa farsa che chiamano Confederations Cup, e non me ne frega niente delle figure di marzapane dei nostri Azzurri.

Detto questo, questa fantomatica competizione internazionale che si ostinano a propinarci dovrebbe servire come ulteriore cartellone pubblicitario dei prossimi Mondiali di calcio, che si svolgeranno in Brasile, nel 2014. Senza dimenticare che poi le Olimpiadi del 2016 si svolgeranno a Rio, sempre in Brasile.

Una coincidenza? Una palese mossa di marketing, per far entrare soldi nelle tasche di chi li ha già, facendo sembrare che il Brasile sia in continua ascesa? Decidete voi.

E torniamo pure un attimo indietro, nella nostra piccola Italia, anzi, ai Mondiali di Italia '90. La spesa complessiva, per i soli stadi, è stata di 1248 milardi di lire, diciamo un po' più di 600 milioni di euro. Devastando malamente i preventivi, e superandoli di cifre impensabili.
Va poi aggiunto che sono innumerevoli le opere rimaste incompiute, o poi smantellate: alberghi, stazioni ferroviarie e molto altro. Uno spreco continuo, insomma, di cui paghiamo ancora le conseguenze adesso.

Ora, la stima delle spese relative ai Mondiali 2014 per il Brasile è intorno ai 30 milardi di dollari, più di 20 miliardi di euro. Una cifra che è superiore a quanto speso per le ultime tre Coppe del Mondo (combinate, non singolarmente). Questo in un Paese in cui c'è ancora un tasso di analfabetismo superiore al 10%, e in cui la fame e la sanità sono ancora, in alcune zone, un problema reale.

E non pensiamo che i Mondiali 2014 possano davvero migliorare la qualità della vita del brasiliano medio, sappiamo benissimo nelle tasche di chi andranno i soldi.

Purtroppo il carrozzone è inarrestabile, e un boicottaggio dei Mondiali brasiliani sarà impossibile.

Ma magari bisognerebbe pensarci, prima di fare le cose.

venerdì 21 giugno 2013

Tony Soprano

Ieri è morto James Gandolfini. Più noto, almeno negli ultimi anni, come Tony Soprano.

Dopo una già discretamente lunga e onorevole carriera al cinema, James era infatti diventato davvero famoso ai più per il suo ruolo di boss nella serie tv "I Soprano", andata in onda con grande successo dal 1999 al 2007 negli USA (e naturalmente bistrattata sulle reti italiche).

All due respect, you got no fucking idea what it’s like to be Number One.

giovedì 6 giugno 2013

Our Love Is Real

Lunedì scorso 3 giugno ero a San Siro.

Per puro caso, c'erano anche Bruce Springsteen & The E Street Band.

Ero in terza fila, centrale, davantissimo. Vi lascio immaginare il caldo, il sudore, lo spostamento della bestia umana in avanti e l'orrenda pressione nei momenti in cui il rocker del Jersey decideva di farsi la passerella nei pressi della mia posizione. Ma il rock non è per signorine, va bene così.

C'era tanta aspettativa per questo concerto, dopo le altre quattro tappe a San Siro, dal 1985 allo scorso anno.
C'era troppa aspettativa.

Chi diceva che avrebbe fatto un concerto pazzesco, chi sperava in tutto l'album Darkness On The Edge Of Town, chi addirittura tutto The River, e chi, più banalmente, sapeva che avrebbe fatto tutto Born In The USA, per una serie di ragioni.

Il sole una palla di fuoco ad accompagnarci per tutto il giorno, nel primo vero giorno d'estate di questo 2013, nessun pre-show a fare da aperitivo, e alle 20.15 circa, sulle note di C'era Una Volta Il West, entra la band, e dai tre anelli di San Siro parte una straordinaria coreografica, un "OUR LOVE IS REAL" enorme, davanti al quale tutti i musicisti rimangono senza parole.
E poi danno il via a quella che sarebbe stata una festa di tre ore e mezza, senza pause, una sfilza impressionante di singoli, un continuo sing-along, gettando all'aria la scaletta, e partendo con una Land Of Hope And Dreams, a una American Land in quarta posizione, per poi ricordarsi che in fondo c'è ancora un album da portare in giro, e quindi buttare dentro Wrecking Ball e Death To My Hometown. E se dopo circa un'ora di spettacolo arriva una splendida The River a riaccendere le speranze, con tanto di finale ripreso dal pubblico, tutto si spegne (!) con l'annuncio di tutto l'album Born In The USA in sequenza.
Il main set si chiuderà poi con l'onnipresente Badlands, e con l'ennesima sing-along, Hungry Heart.
Si respira un attimo con la bellissima, e in questa leg del tour bistrattata, We Are Alive, anticipata da This Land Is Your Land, ma si scivola ben presto nella festa di Twist & Shout prima e Shout poi.
Poi tutto si spegne, la band (tra l'altro, mai presentata come "E Street Band", ma solo come singoli musicisti) esce dal palco, rimane solo lui, Bruce, chitarra acustica e armonica, per una delle più belle Thunder Road mai sentite, che sapeva tanto di "grazie, è stato bello".
Springsteen saluta di nuovo sulle note di Morricone, e mentre esce dal palco sul megaschermo dello stadio partono le immagini dei suoi concerti a San Siro. Una mazzata tremenda.

Mi sono divertito? Certo, il giorno dopo non avevo più voce, non credo di essere stato fermo o zitto per un momento, fino alla fine e oltre.
Ho percepito un qualche messaggio, ho creduto di cogliere qualcosa da Bruce al di là delle sole canzoni? Onestamente no.
Cosa rimane davvero di questo San Siro 2013? This Land, We Are Alive e Thunder Road. I momenti più intimi, acustici e raccolti. Ma soprattutto la sensazione che un cerchio si sia chiuso, che magari questa formazione non tornerà più in questo stadio, e che quindi volessero fare una grande festa d'addio, perchè attraverso questi 28 anni è stato bello.

Nota a margine: venerdì, tre giorni prima di San Siro, ero nell'orrido Stadio Euganeo di Padova, e ho assistito a uno show del tutto diverso, nonostante cantante e musicisti fossero gli stessi. Pre-show acustico con The Promised Land e Growin' Up, apertura acustica con una violentissima The Ghost Of Tom Joad, poi Long Walk Home e tutto l'album Born To Run. Ok, nei bis hanno poi messo il pilota automatico, andando incontro all'ovvia Twist & Shout, ma l'intensità c'è stata e il messaggio anche.

Non so cosa riserverà il futuro a noi springsteeniani.

Incrociamo le dita, perchè comunque vada, our love is real.


martedì 28 maggio 2013

O Sole Mio





Bruce Springsteen giovedì scorso, 23 maggio, suonava a Napoli, in piazza del Plebiscito.


Io non c'ero.

E' la prima volta da più di 10 anni che manco a un concerto su suolo italico con la E Street Band, quindi un evento più unico che raro, e le ragioni che mi hanno spinto a non andare sono numerose: un po' perchè era proprio nel bel mezzo della settimana, quindi logisticamente complicato, un po' perchè l'idea di andarlo a vedere in piazza, per di più a Napoli, non mi attirava particolarmente, un po' perchè sapevo che per le settimane precedenti e seguenti il concerto ci sarebbe stato un fiume in piena di aspettative e commenti, e non avevo voglia di farne parte.

La band è arrivata in città credo già lunedì, e tutti i fan a martoriarli con stalking estremo, foto, varie, eventuali. Bruce no. Bruce è rimasto placidamente nei pressi di Como, per poi arrivare a Napoli poche ore prima del concerto, ripartendo subito dopo aver suonato, cosa che capita molto di rado.

Ora, è vero, ha fatto un paio di canzoni acustiche due ore prima dell'inizio dello show, ha detto di essere "tornato a casa" perchè le origini della sua famiglia si perdono nel napoletano, ha chiuso con una Thunder Road voce e chitarra, ma qualcosa non mi quadra.

Se sei tanto contento di essere a casa, almeno passaci qualche giorno, no?

Al di là di questo, pare - che strano! - che su suolo partenopeo ci sia stato qualche problema di ordine pubblico, gente che scavalca le transenne, sicurezza gestita un po' come veniva e via dicendo.

Mah.

Nel dubbio, venerdì sarò a Padova.

Ci si vede là?

venerdì 10 maggio 2013

Southside Johnny & The Asbury Jukes





Domenica scorsa sono andato a vedere Southside Johnny & The Asbury Jukes.


Per chi non lo sapesse, Southside Johnny, 64 anni a dicembre, è uno dei tanti musicisti della East Coast americana che negli anni '60 e primi '70 ha calcato gli stessi palchi di Bruce Springsteen, per poi rimanere però confinato in un successo quasi locale. Per capirci, questa è stata l'unica data italiana, e ci sarà stato giusto qualche centinaio di persone, zero pubblicità, zero articoli sui giornali.

La location, le Officine Creative Ansaldo, a Milano, è davvero orrenda. Roba che un amico mi ha detto "speriamo che Southside sia così sbronzo da non capire dove sta suonando". Perchè non è che abbia mantenuto le sembianze di una fabbrica o di un capannone abbandonato, ma è di fatto un capannone abbandonato, dove hanno sistemato malamente un paio di luci, un bar (ottima davvero la birra, va detto), un palchetto, un impianto e poco altro. Aggiungo solo che se vi scappa la pipì, bè, tenetevela fino a casa.

Detto questo. Avevo già visto Southside Johnny nel 2006 al fu Transilvania, con un grande set di apertura degli amici Miami & The Groovers e poi un bel concerto del rocker americano. Che però alla fine era scomparso subito in camerino, lasciando Bobby Bandiera e il resto della band a fare autografi e qualche foto.

Domenica invece è stato diverso: la band è salita sul palco in perfetto orario, e ha suonato per due ore filate, senza pause, con un Southside in piena forma, che si è pure tolto gli occhiali da sole dopo un paio di pezzi, e ha scambiato più volte battute con le prime file. Tutta la band si dà da fare egregiamente, e se Glenn Alexander non è Bobby Bandiera (in tour con Bon Jovi), ci pensa Jeff Kazee a fare da spalla al leader, guadagnandosi anche i riflettori con una gran versione di Many Rivers To Cross.
La scaletta, stravolta rispetto a quella scarabocchiata prima dell'inizio dello show, mette in fila alcuni dei più grandi successi di Southside, da This Time It's For Real a All The Way Home, e quando sembra che tutto sia finito, con una grande I've Been Working Too Hard, c'è ancora spazio per una bellissima Hearts Of Stone (invece della Havin' A Party in scaletta) solo voce e piano.

E poi... e poi Southside Johnny si lancia sulle prime file del pubblico, e rimane per una buona mezz'ora a disposizione per foto, autografi, battute, dopo aver detto più volte di essersi divertito molto in quest'ultima tappa del tour europeo.

Quando gli porgo la scaletta da autografare, saccheggiata da una spia sul palco, mi guarda un attimo storto e mi dice "you stole the setlist", poi si mette a ridere, me la firma e mi stringe la mano.

Come dovrebbe essere un sacrosanto concerto rock.

1. This Time It's for Real
2. Take It Inside
3. Love On the Wrong Side of Town
4. Passion St.
5. Without Love
6. Cross That Line
7. Gin-Soaked Boy
8. Talk to Me
9. Walk Away Renée
10. Cadillac Jack
11. You Mean So Much to Me
12. Broke Down Piece of Man
13. Many Rivers To Cross
14. All Night Long
15. All the Way Home
16. Angel Eyes
17. Forever
18. Tired Skin
19. The Fever
20. I Don't Want to Go Home

21. Save Me
22. I've Been Working Too Hard

23. Hearts of Stone

sabato 4 maggio 2013

Maratona del Riso 2013. C'è poco da ridere.

Mercoledì scorso, 1 maggio, ho corso per la quarta o quinta volta i 10km della Maratona del Riso, a Vercelli.
Quest'anno la manifestazione riuniva le distanze di 3km, 10km, mezza maratona, maratona, più qualcosa che non ricordo con i roller.
A quanto dichiarano, in totale più di 1200 iscritti.

In teoria, una cosa seria.

In teoria. Perchè in pratica le cose sono ben diverse, e purtroppo ogni anno la situazione peggiora.

Tanto per cominciare, nonostante gli sponsor ci siano, e anche al di là di quelli istituzionali, non c'è neanche uno straccio di gonfiabile per segnalare partenza e arrivo. Due transenne in croce, un canovaccio per terra, finito. Nella zona partenza / arrivo, quattro bancarelle di numero, tristissime.
Poi. Da programma, sarebbe dovuta partire prima la maratona, poi la mezza, e quindi la 10km. Ma simpaticamente, gli organizzatori decidono di invertire l'ordine, e lo comunicano esclusivamente sul sito internet della manifestazione, il giorno prima. Immaginate il casino. Senza contare il fatto che, quasi sempre, i mezzi maratoneti prima e i maratoneti poi sono più seri e più veloci di chi fa la semplice 10km, con il rischio concreto di creare "tappi" lungo il percorso.
Poi. Segnalati, a memoria, il km 1, il km 2. E poi basta. Nulla, niente, zero, si va a occhio.
Poi. Lungo i 10km nemmeno un punto ristoro, un bicchiere d'acqua di rubinetto, niente, zero.
Poi. Invece di chiudere il traffico per tutto il perimetro del percorso e oltre, questi geni del male hanno pensato bene di chiudere - temporaneamente - solo le strade e le vie in cui di fatto si correva. Con il risultato che si passava di corsa all'interno di una rotonda con decine di macchine in fila che aspettavano di passare. Con il motore acceso, per lo più. Una gioia per i polmoni.
Poi, e questa è grave davvero. Nessuna indicazione del percorso da seguire, nessun omino a indicare la strada. Con il risultato che tanti, tantissimi, in perfetta buona fede, seguendo le persone davanti, hanno fatto un percorso sbagliato, non sapendo dove deviare, accorciando quindi i 10km a poco più di 9. E questo già di per sè sarebbe grave, ma diventa gravissimo nel momento in cui la gara si presenta come seria, con tanto di chip, tempi cronometrati ufficiali e via dicendo. Capite bene che se non c'è alcun controllo sul percorso, di conseguenza i tempi rimarranno sballati, e non di poco.
Poi. All'arrivo neanche una fetta di fette biscottate stantie con la marmellata. Un bicchiere d'acqua, ad andar bene un tè, un biscotto vecchio, una caramella gommosa, e pedalare.
Poi. Le docce. L'eccellente organizzazione aveva messo a disposizione un pullmino (da 5 persone) per portare chi ne avesse necessità alle docce (dopo aver chiesto agli addetti dove fossero, la risposta è stata "non so, non sono di Vercelli"). Per il ritorno, però, lusso, i docciati potevano addirittura abusare di un'ambulanza.
Poi. In ogni pacco gara, oltre a un succo del discount, una merendina probabilmente scaduta, un pacchetto di fazzoletti del discount, una magliettina e mezzo kg di riso, c'era anche un buono pasto, più o meno corposo a seconda delle gare fatte. Buono pasto da sfruttare negli stand gastronomici intorno alla manifestazione. Facendo un rapido conto, 1200 iscritti vogliono dire 1200 piatti di risotto, più il resto. Mettiamo pure che metà degli iscritti, per motivi vari ed eventuali, passino la mano, rimangono 600 pasti da servire. Bene, all'interno degli stand ci saranno stati non più di 80 posti a sedere. All'esterno, se mai vi venissero dei dubbi, nessun coperto.
A fare da ciliegina sulla torta, il fatto che a preparare la panissa per la manifestazione non fosse neanche una pro loco vercellese, ma ci si sia dovuti rivolgere a quella di Desana.

Tutte queste cose, più altre magagne che al momento non mi vengono in mente, sarebbero gravissime già di per sè, ma per dovere di cronaca aggiungo anche che il costo di partecipazione per la 10km era di 15 euro, per la mezza maratona di 30, e per la maratona di 40.
Ho visto gare "minori", con pacchi gara più corposi e quote di partecipazione molto più basse, organizzate mille volte meglio.

Ah, e poi c'è la censura.

Sì, perchè sul sito ufficiale della manifestazione in teoria è possibile lasciare dei commenti. Gli ultimi risalgono al 2 aprile scorso, più di un mese e mezzo fa. E so di per certo di persone che hanno scritto la loro su come sono andate le cose, ma magicamente quei commenti non sono mai stati pubblicati sul sito.

Io corro senza voler fare chissà quali tempi, faccio quelle 10 gare (dai 5 ai 15km, non di più) all'anno, ho una media da amatore di 5 minuti al km, o poco più. Partecipo per la bellezza del percorso, per stare con alcuni amici "podisti" e per prenderci in giro sui tempi dell'uno o dell'altro, per bere una birra o un bicchiere di vino nel dopo gara tutti insieme, per cercare di limare un secondo o due su ogni percorso. Insomma, per divertimento.

Ma dubito fortemente il 1 maggio 2014 mi vedranno dalle parti della Maratona del Riso.