giovedì 28 febbraio 2008

Comunque vada, sarà un successo

Sanremo mi repelle, e su questo non si discute.

Va in onda sulla Rai, è un format vetusto e insvecchiabile, presenta cantanti discutibili e spesso alla ricerca di un rilancio (toppato magari già tra le mura di celluloide di Music Farm o di qualche altro reality di cattivo gusto), è stracolmo di telepromozioni e pubblicità, e costringe gli altri canali della tv generalista (Rai, Mediaset e La7) a palinsesti imbarazzanti, per tutta la settimana del Festival. Senza contare il fatto che, finita la manifestazione, vanno nel dimenticatoio anche i vincitori e i vinti, e buonanotte.

I tempi di Rino Gaetano o Vasco Rossi al Festival sono ormai lontana preistoria.

E giustamente a questo giro, complice anche internet, ma soprattutto Sky, l'audience è crollata definitivamente. Risalirà, di sicuro, per le ultime tre serate, sia perchè alla fine l'italiano medio Sanremo lo guarda, sia perchè Baudo e il suo entourage hanno messo in scena, nella giornata di ieri, uno sfogo falso come Giuda, ma che riporterà inevitabilmente almeno un po' di attenzione sulla manifestazione canora.

"Scazzottiamoci, prendiamoci a sputi in faccia, così fottiamo il pubblico, lo imbarbariamo e avremo un'Italia di merda."

Questa la frase che riassume l'intervento di ieri del Pippo nazionale, e in parte mi ci trovo d'accordo. Ormai l'italiano medio (la casalinga di Voghera è andate in pensione da tempo) si esalta guardando una quantità di boiate devastanti; chi non si permette il lusso di un decoder Sky gongola davanti ai catenacci sul petto dei cronisti di Uomini e Donne, ha i lucciconi con l'ultima vaccata strappalacrime dell'Italia sul Due, ride beota gustandosi il Bagaglino o qualche nefandezza del genere.
E quindi Pippo ha ragione, basta una litigata, una parolaccia, qualche trovata di cattivo gusto, ed ecco che il telecomando torna su Rai1, per vedere chi si becca l'insulto più forte.

E' davvero questo l'Italia televisiva? Il miglior commento, con tanto di pacca sardonica sulle spalle, lo fa Mike Bongiorno, che dalle pagine del Corriere della Sera cerca di rincuorare Baudo:

"Pippo non devi dire le parolacce: se hai fatto un buon lavoro, devi essere contento. E lo stesso Chiambretti. Siete stati bravissimi: secondo me qualche volta avete ecceduto con le battute, ma siete spiritosi. Avete costituito una nuova coppia in concorrenza a me e Fiorello. Potete fare bene..."

Già, potete fare bene. Ma siete una semplice imitazione, l'audience che Mike e Fiorello fanno con le loro pubblicità, voi a Sanremo ve la sognate.

lunedì 25 febbraio 2008

And the Oscar goes to...

Ormai lo sapete, sono un appassionato di cinema, a 360 gradi. E quindi, anche se gli Oscar degli ultimi anni non mi hanno regalato emozioni particolari, anche stamattina ho guardato com'era andato il galà.

Fin troppo annunciato, Non è un Paese per vecchi, dei Fratelli Coen, ha vinto i suoi quattro premi (su otto nominations): miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale, mentre Daniel Day Lewis ha portato a casa la statuetta come miglior attore protagonista per Il Petroliere di Paul Thomas Anderson.

Ora, se non voglio discutere sul premio dato a Daniel (e sull'ennesima volta che l'ottimo Johnny Depp è rimasto a bocca asciutta), non so fino a che punto mi convincano gli Oscar dati ai Fratelli Coen.

Ho visto il film un paio di settimane fa, e non sono riuscito a capire se mi sia piaciuto. Non sono nemmeno in grado, ancora oggi, di dargli un voto. Buoni gli attori, ottimo il cattivo di turno (Javier Bardem, giusta stauetta), regia scolastica ma un po' impettita, fotografia eccelsa ma classicheggiante, non un accenno di colonna sonora, e un'inevitabile lentezza intrinseca. Un film che racconta il contrario del sogno americano, insomma, e che la kermesse di Los Angeles ha voluto premiare, politicamente corretta, in un'edizione meno sfarzosa del solito, nel post sciopero degli sceneggiatori.

Certo, siamo davanti ad una Hollywood in cui gli Academy Awards degli anni passati sono andati a The Departed ma anche a Shakespeare in love, a Million Dollar Baby ma anche a Chicago, a Il Ritorno del Re ma anche a Crash.

L'Oscar a Non è un Paese per vecchi dovrebbe mettere d'accordo tutti, allora? Non credo, ma era fin troppo annunciato per non essere assegnato ai Coen.

Personalmente, sono ancora deluso dall'esclusione alla nomination di American Gangster, ma ormai è andata.

Altro giro altro regalo.

giovedì 21 febbraio 2008

John Rambo

Bè, non c'era verso, non potevo più aspettare.
E quindi stasera, complice il fatto che non ci fosse nessuna partita di Champions rimasta in cartellone, e reo di lasciare da parte giusto un paio di film (per la cronaca, Into the wild di Sean Penn e There will be blood di Paul Thomas Anderson) per un futuro prossimo, mi sono messo sul divano a guardare questo quarto capitolo della saga dell'eroe.

Non sapevo cosa aspettarmi.
O forse sì.
Dopo Rocky Balboa, episodio conclusivo della storia del pugile di Philadelphia, sapevo che questo film non poteva esserne molto distante, soprattutto nella filosofia di fondo, nella storia dell'uomo al centro di tutta la vicenda.
Ma forse non mi aspettavo una scelta così radicale.

Il secondo e il terzo film della serie vengono spazzati via come non fossero mai esistiti, e con loro se ne va tutto l'eroismo a stelle e strisce, tutto il machismo anni '80 e anche tutta l'ironia che il personaggio poteva regalare. Il Rambo che abbiamo di fronte è alla soglia dei sessant'anni, stanco, silenzioso, cupo, un uomo che non crede più in nulla e in nessuna bandiera, e che se ne vuole solo stare da solo in qualche angolo di mondo. E fin qui niente da dire, il filmato iniziale che apre il film potrebbe far pensare anche a qualche intento di denuncia (contro le condizioni della popolazione birmana).
Peccato che poi bastino gli occhi dolci e qualche parola - banale - della bionda di turno, peraltro neanche una stragnocca siliconata, ed ecco che il vecchio John accetta di rimettere le mani nella melma, almeno un po'.
Nei primi cinquanta e passa minuti di film (che ne dura poi 90 scarsi) vengono sparate poche pallottole, non c'è un sorriso, le battute dello stesso Rambo sono pochissime e monocorde. E vabè.
Poi, quando sembra che tutto torni tranquillo, si scopre che le persone - bionda inclusa - che il protagonista aveva accompagnato alla loro destinazione sono state rapite dai sanguinari birmani, e allora ecco che il nostro si incazza come una biscia e, di fatto, guida un gruppo di mercenari a recuperarle. A questo punto i morti fioccano da tutte le parti, e in tutte le salse: frecce che sibilano, coltelli forgiati a mano, giugulari strappate con le nude dita, mitragliate di non so che calibro a distanza ravvicinatissima, con un effetto splatter che spruzza sangue un po' ovunque.
La scena finale, che non voglio svelare per chi vedrà il film, è quasi sicuramente la migliore della pellicola, nonostante l'impari confronto con il Rambo di quasi trent'anni fa e la pettinatura poco credibile di Stallone. Come già Rocky Balboa prima di lui, anche John Rambo abbandona la scena, chiudendosi un degno sipario alle spalle.

"Mi ripugna ammetterlo, ma stiamo diventando troppo teneri."
"Forse solo un tantino, signore. Solo un tantino."

domenica 17 febbraio 2008

Allegria!

E vabè, ormai lo sappiamo tutti, in televisione impazza il duello a distanza tra Gualtiero Veltroni e il nostro caro Silvio, e andrà avanti questa tiritera fino a metà aprile, e poi si vedrà.
Non voglio sbilanciarmi su previsioni e pronostici. Peggio di come è andato il Governo Brodo non potrà andare, staremo a vedere e prepareremo il popcorn per le nuove, fantastiche avventure dei nostri eroi.

Passando alle cose serie, dopo aver finito il mio tomo di 1020 pagine, His Dark Materials (la trilogia di Philip Pullman che consiglio vivamente agli appassionati di fantasy e non), mi sono divorato in due o tre giorni l'autobiografia di Mike Bongiorno, La versione di Mike, che avevo regalato a mia mamma per Natale.
Al di là della simpatia che si puà avere per il grande presentatore, è davvero un libro straordinario, un paradigma della storia italiana degli ultimi sessant'anni: Mike che nasce in America, poi il crollo di Wall Street e il ritorno in Italia, i campi di concentramento, di nuovo negli USA, l'inizio con la radio e poi il definitivo ritorno in Italia, dalla radio alla televisione e poi dalla Rai alla futura Mediaset... Il tutto con mille aneddoti, racconti, storie di vita vissuta cui non si fa fatica a credere, e si leggono più che volentieri.
Non stiamo sicuramente parlando di un romanzo di chissà quale spessore, ma di una lettura che merita un minimo di attenzione, una piacevole sorpresa tra le caterve di libri per cervelli all'ammasso di cui sono strapiene le nostre librerie.

Non me ne vogliano i cari Moccia, Volo e compagnia bella, ma spero che qualcuno lasci quei libri da passeggio nel dimenticatoio, e preferisca qualche ora in compagnia del vecchio Mike.

Chiudo con questo gustosissimo filmato, scovato nei meandri di YouTube dopo che il buon Antonio Ricci l'aveva tirato fuori dagli archivi di Canale5, la mitica litigata tra Mike e un giovane Vittorio Sgarbi all'epoca di Telemike...

venerdì 15 febbraio 2008

Signori, schiocca la frusta



Dopo Rocky Balboa.

Dopo John Rambo.

Torna una leggenda degli anni '80.

Dite quello che volete, ma io il 22 maggio sarò al cinema a godermi questo Indiana Jones and the kingdom of the crystal skull.

sabato 9 febbraio 2008

C'è gente che ama mille cose

Per una volta, esco dal seminato.

Non che in queste pagine si stia seguendo un percorso ben definito, ma mi piace pensare che ci sia un minimo di fil rouge tra una stupidaggine e l'altra che scrivo, per rendermi subito riconoscibile da quei tre o quattro lettori che mi seguono.

Stavolta, ripeto, esco totalmente dal seminato.

L'altra sera, dopo aver visto meno di mezz'ora di 30 days of night (una boiata pazzesca), ho perso un po' di tempo facendo zapping, una pratica che ho ormai messo in pensione, repellendomi quasi tutta la tv generalista. Sono finito quindi su uno dei tanti canali musicali ormai presenti sul satellite, ho riconosciuto la voce di Fiorella Mannoia ma non immediatamente la canzone, che collegavo invece a una voce maschile (dopo un minimo di mente locale, quella di Sergio Endrigo). Ma al di là della canzone - comunque bellissima - quello che mi ha davvero colpito è il video, semplice, efficace, un grande omaggio a mille scene d'amore.

Godetevelo, e buon fine settimana.


mercoledì 6 febbraio 2008

Miracolo Italiano

E fu così che il Governo cadde definitivamente e si andò alle urne. Le camere si sciolsero al tiepido sole di febbraio, lasciando corso a campagna elettorale, comizi, varie, eventuali, fino all'inevitabile 13 aprile.

Ironia a parte, e senza fare mistero della parte politica che vedrà il mio appoggio, sono più che convinto che se il Cavaliere mollasse l'osso e lasciasse lo scettro a un ipotetico successore, la vittoria sarebbe devastante, senza il minimo margine di dubbio, dando anche un minimo di speranza agli italiani più scettici. Temo però che uno scenario del genere non sia realizzabile (anche per l'assenza di un politico giovane credibile e con il carisma giusto), ma spero che questo non porterà molte persone, magari indecise o confuse, all'astensione dal voto: sarebbe la scelta meno sensata, oltre che un'occasione persa per cambiare una briciola delle sorti di questo Paese.

Detto questo, e pensando a tutti coloro che protestano contro il sistema e il potere per il semplice gusto di farlo, l'altro giorno ascoltavo London Calling dei Clash. Non c'è niente da fare, con tutto il rispetto per i gruppi punk degli ultimi 10-15 anni, come Green Day o Offspring, il punk vero appartiene a gente come Clash e Sex Pistols, e a un pugno si musicisti dimenticato o quasi. Pochi accordi, molte chitarre distorte, testi cattivi o per lo meno graffianti, senza diavolerie pop o buonismo messo in scena per il pubblico dalla bocca buona.
Basti leggere proprio il testo di London Calling, che ho tradotto al volo:

Londra sta chiamando le città lontane
La guerra è dichiarata, la battaglia alle porte
Londra sta chiamando il mondo sotterraneo
Uscite dall'armadio, ragazzi e ragazze
Londra sta chiamando, non guardate noi
La stupida beatlemania ha morso la polvere
Londra sta chiamando, vedi, non c'è più swing
A parte nella girandola di quel manganello

L'era glaciale sta arrivando, il sole rimpicciolisce
Si scioglierà tutto, il grano cresce male
I motori smettono di correre, ma io non ho paura
Londra sta affondando, e io vivo vicino al fiume

Londra sta chiamando la zona di imitazione
Lascia stare, fratello, puoi andarci da solo
Londra sta chiamando gli zombi della morte
Smetti di nasconderti, e tira un altro fiato
Londra sta chiamando, e io non voglio urlare
Ma mentre parlavamo ho visto che annuivi
Londra sta chiamando, vedi, non siamo neanche fatti
A parte quello là con la faccia giallognola

L'era glaciale sta arrivando, il sole rimpicciolisce
I motori smettono di correre, il grano cresce male
Un'era nucleare, ma io non ho paura
Perchè Londra sta affondando, e io vivo vicino al fiume

Ora senti questo
Londra sta chiamando, sì, ero lì anch'io
E sai cos'hanno detto? Bè, alcune cose erano vere!
Londra sta chiamando nel momento cruciale
E dopo tutto questo, non mi sorriderai?
Londra sta chiamando

Non mi sono mai sentito così...